Categoria: Il dibattito

donation_06

Inclusione scolastica, come fare perché sia “affare” di tutti i docenti

La nostra legge sull’inclusione scolastica degli alunni con disabilità è la migliore del mondo, ma non riesce a realizzare gli obiettivi che si prefigge. Il nodo problematico è la delega di fatto dell’alunno con disabilità all’insegnante di sostegno e la mancata formazione dei docenti sulla didattica inclusiva. Come uscirne?

In questi giorni si è accentuato il dibattito sull’ipotesi di cattedra mista, che prevederebbe cioè l’affidamento allo stesso docente sia del sostegno sia dell’insegnamento della propria disciplina, ciascuna per mezza cattedra. Il confronto si è fatto particolarmente intenso nel gruppo “suggerimenti per la didattica della vicinanza”, che conta quasi 300 impegnati partecipanti, al punto che il 27 luglio scorso si è tenuto un gruppo ristretto di lavoro con la partecipazione dei due moderatori della Lista, Fernanda Fazio e Nicola Spriano, insieme con Dario Ianes, Massimo Nutini, Evelina Chiocca ed altri, compreso me.

Nel dibattito pubblico è intervenuta anche Francesca Palmas, pedagogista dell’Associazione Bambini Cerebrolesi, con un profondo articolo che ha illustrato l’importanza del docente di sostegno quale “direttore d’orchestra” del Gruppo di lavoro che elabora il Pei, che è lo strumento fondamentale di inclusione tra l’alunno con disabilità, i compagni e tutti i docenti. 

Tuttavia sui social c’è stato chi, in maniera inappropriata, ha affermato che «anche l’ABC è favorevole alla cattedra mista», così che – sempre su VITA – il presidente della Fish Vincenzo Falabella ha precisato la posizione della Federazione: la Fish non è favorevole alla cattedra mista, poiché da tempo insiste culturalmente sull’apposita classe di concorso per il sostegno, dandone ampiamente le motivazioni. Personalmente condivido in toto le argomentazioni di Falabella e mi continuo a chiedere  dove sia “la crescita di consenso” sulla cattedra mista. Infatti si sono mostrati perplessi o contrari esperti del calibro di Iacopo Balocco, Flavio Fogarolo, Raffaele Ciambrone. Invece che a questa strana cattedra, la Fish propone altre più organiche soluzioni.

Le due condizioni necessarie per la qualità dell’inclusione

Il tema che ci sta a cuore, infatti, è a monte. Ed è la domanda “come si può garantire una vera condivisione didattica del progetto inclusivo di qualità, da parte di tutti i docenti della classe?”.

La Fish da tempo sostiene che per riuscirci siano necessarie due inseparabili condizioni: l’apposita classe di concorso per il sostegno e la contemporanea formazione obbligatoria in servizio dei docenti curricolari sulla pedagogia e didattiche speciali.

Per questo secondo aspetto la Fish si rifà al professor Luigi d’Alonzo ed alla Società italiana di pedagogia speciale-Sipes. Sia d’Alonzo che la Fish hanno scritto al ministero dell’Istruzione e del Merito perché nel decreto applicativo della legge n. 79/2022, i miseri 3 crediti formativi universitari dedicati alla pedagogia vengano aumentati notevolmente di numero, per consentire ai docenti curricolari di essere professionalmente in grado di seriamente collaborare coi docenti di sostegno. È noto che, malgrado la nostra legislazione inclusiva sia considerata la migliore del mondo, essa in concreto non riesce a realizzare gli obiettivi che si prefigge, proprio a causa “dell’assoluta ignoranza per legge” della pedagogia e didattica speciale per tutti i docenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Ovviamente queste due condizioni sono necessarie, ma non sufficienti, per realizzare la qualità inclusiva prevista dalle norme.

Cinque passaggi ulteriori

Serve anche un definitivo riordino della normativa dei Centri territoriali per l’inclusione, con l’assegnazione di docenti con semiesonero dall’insegnamento (che attualmente lavorano a titolo di volontariato), perché continuino a lavorare con consulenze itineranti e a gestire gli “sportelli” per l’autismo ed altre disabilità, indispensabili per seguire professionalmente l’inclusione a livello di distretti scolastici.

Occorre una perenne formazione obbligatoria in servizio di tutti i docenti.

Ci vuole pure una maggiore serietà dei corsi di specializzazione, alcuni dei quali sono veramente discutibili. Come possono alcune Università formare seriamente i partecipanti a corsi di specializzazione che prevedano più di 2mila studenti, se non a volte anche 3mila? Numeri autorizzati dal ministero dell’Università e da quello dell’Istruzione e del merito, senza batter ciglio. Molto apprezzabili le Università che chiedono un massimo di 300 posti, con esiti didattici e professionali decisamente degni di rispetto.

E ancora: una volta c’era un gruppo di ispettori ministeriali espressamente preparati sull’inclusione scolastica, che ormai non esistono quasi più. Cosa attende il ministero a ripristinare queste competenze? Non solo per i classici motivi di controllo, ma anche per dare – come in effetti avveniva – consulenze itineranti su tutto il territorio nazionale. Si pensi a quanto hanno giovato a favorire la crescita della qualità inclusiva ispettori come Aldo Zelioli, Laura Serpico Persico, Sergio Neri, Franco Fusca ed altri prematuramente scomparsi oppure ispettori in pensione come Raffaele Iosa.

Inoltre il Ministero, per dare serietà all’inclusione scolastica dovrebbe definitivamente risolvere il problema dei titoli di specializzazione conseguiti all’estero, specie in Europa, del tutto inadatti al nostro sistema ordinamentale: all’estero infatti tali corsi formano docenti che operano solo nelle scuole speciali, mentre noi da decenni operiamo l’inclusione scolastica generalizzata in tutte le scuole.